Pruritus Ani

Ultimo aggiornamento: 3/04/2018
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Categoria: Prurito

D.ssa Micaela Serbelloni, U.O. Chirurgia Generale ASST Ovest Milanese

Il Pruritus Ani è una condizione clinica caratterizzata dalla sensazione di “prurito” localizzato nella regione perianale.
Sebbene possa interessare soggetti di varia età, si presenta più frequentemente nel sesso maschile con una prevalenza tra i 30 e 50 anni.
Il prurito può inoltre interessare anche la regione anteriore della vulva e dello scroto.
La fisiopatologia di questo sintomo è dovuta alla stimolazione delle fibre C sensitive della cute perianale da parte di mediatori chimici quali l’istamina, la bradichinina e la callicreina oltre ad altri.
Questi mediatori vengono rilasciati in seguito a degli stimoli tra i quali il grattamento indotto dal prurito; si viene quindi a creare un circolo vizioso grattamento-prurito-grattamento-prurito (FIG.1)

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Fig. 1 Eziopatogenesi del prurito anale

Occorre quindi identificare la causa inziale del problema per poter permettere alla terapia di inserirsi all’interno di questo circolo in modo tale da interromperlo.
Le cause possono essere classificate in: secondarie (nel 25-75% dei casi) ovvero dovute a patologie locali o sistemiche; idiopatiche, qualora non sia possibile identificare il motivo esatto del prurito.
Nella tabella 1 vengono riassunte le principali affezioni correlate al pruritus ani.

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Diventa quindi mandatorio affidarsi a specialisti dermatologi e/o proctologi che abbiano esperienza nel settore, per non sottovalutare un sintomo che potrebbe essere indicativo di patologie più serie come per esempio i tumori ano-rettali.
La visita deve permettere di raccogliere adeguatamente la storia clinica del paziente, sia passata sia presente, l’inizio della sintomatologia e la frequenza del sintomo se occasionale o permanente, se interrompe il sonno, se è esacerbato dall’attività fisica o dalla defecazione. È necessario indagare le abitudini alimentari, igieniche e sessuali dei pazienti. Come già evidenziato nella tabella precedente, le malattie sessualmente trasmesse possono essere causa di prurito anale e il trattamento deve essere rivolto ad eradicare l’infezione e prevenirne la recidiva.
Alcuni alimenti sembrano essere più facilmente causa di prurito (tab. 2) e la sospensione dall’assunzione di tali sostanze per almeno 2 settimane riduce drasticamente i sintomi fino alla risoluzione completa.

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La visita deve comprendere una attenta ispezione della regione perianale per rilevare patologie a carico della cute (dermatiti, eczemi, psoriasi, etc) o più propriamente proctologiche (emorroidi, marische, condilomi, fistole, lesioni tumorali, etc). In taluni casi la cute può presentarsi completamente integra o con lesioni da grattamento o escoriazioni. Nei casi di prurito cronico la cute può presentarsi ispessita, dura e ipopigmentata per un fenomeno di lichenificazione.
Il Washington Hospital Center ha proposto una classificazione in 4 stadi delle lesioni cutanee:
– STADIO 0 cute normale
– STADIO 1 cute eritematosa e infiammata
– STADIO 2 cute lichenificata (ispessita, dura, ipopigmentata)
– STADIO 3 cute lichenificata con presenza di erosioni e ulcerazioni.
La visita si completerà con l’anoscopia, che permette di valutare il canale anale e la presenza di patologie proctologiche, eventuale tampone colturale nel sospetto di infezioni e/o di biopsia di lesioni sospette per patologia tumorale o infettiva.
Il trattamento del prurito anale, come già riportato nella tabella precedente, dipende dalla causa che lo determina. Nelle fasi iniziali è utile rispondere all’esigenza del paziente di alleviare il disturbo utilizzando farmaci sintomatici come antistaminici o creme a base di cortisone. Una volta raggiunta la diagnosi definitiva si potrà instaurare una terapia adeguata all’eliminazione della causa scatenante: antifungini nel caso di infezioni, creme al cortisone nel caso di dermatiti atopiche o eczemi, e così via.
Soprattutto nelle fasi iniziali diagnostiche è indicato iniziare una terapia su base empirica per cercare di ridurre il discomfort del paziente.
Il primo step nella cura di questo disturbo è comunque indirizzare il paziente verso la correzione di norme igienico-comportamentali che possano mantenere il reiterarsi del prurito evitando quindi di peggiorare la condizione della cute perianale già molto sensibile alle noxae patogene (tab 4).
Molti pazienti correlano il prurito anale alla scarsa igiene e vengono quindi indotti a lavarsi frequentemente frizionando la cute anche con prodotti come saponi aggressivi contenenti sostanze chimiche irritanti. È quindi
utile evitare di usare prodotti chimici, lavare la zona con delicatezza senza produrre lesioni da grattamento e asciugandosi con delicatezza tamponando l’area interessata o addirittura utilizzando un asciugacapelli. Se poi il prurito dovesse presentarsi nelle ore notturne, si consiglia di indossare dei guanti di cotone per evitare di lesionare la cute in caso di grattamento involontario durante il sonno.
Come riportato in tabella anche le salviettine igieniche profumate sono da proscrivere come agenti irritanti così come gli indumenti sintetici che possano mantenere umida l’area peggiorando il sintomo.
È bene consigliare al paziente di proteggere la cute con l’applicazione di creme a base di ossido di zinco e di evitare tutti i prodotti topici utilizzati nella cura della patologia emorroidaria (non tutto ciò che riguarda l’ano devono essere “emorroidi”).
Nei casi di pruritus ani idiopatico sono state proposte delle terapie con prodotti topici a base di capsaicina allo 0,006%, tacrolimus allo 0,03% e cortisone.
È bene sottolineare che in letteratura sono presenti studi che hanno validato l’utilizzo di questi trattamenti, ma si tratta di studi non randomizzati che hanno arruolato pochi pazienti.
La capsaicina è una molecola derivata dalla pianta del peperoncino la cui azione è quella di inibire la liberazione di istamina. Il trattamento ha una durata di circa 4 settimane eventualmente ripetibile con un successo nel 63% dei pazienti. Circa il 10% dei pazienti sospende il trattamento a causa degli effetti collaterali.
L’applicazione della crema provoca bruciore che generalmente si autolimita nell’arco di pochi giorni ma che in taluni casi non è sopportato dal paziente tanto da rendere necessaria la sospensione della terapia.
Il tacrolimus è un farmaco immunosoppressore utilizzato nei pazienti trapiantati per proteggerli dal rigetto d’organo, pertanto è efficace nei casi di prurito anale su base autoimmune: dermatite atopica, eczema.
Anche in questo caso il trattamento si prolunga per circa 4 settimane riducendo l’intensità dei sintomi con una buona tollerabilità da parte dei pazienti.
Molto utilizzate sono le creme a base di cortisone, un farmaco che provoca un beneficio quasi immediato riducendo l’effetto infiammatorio e quindi il sintomo prurito. Molti prodotti ad uso topico per il trattamento delle emorroidi contengono una certa quota di cortisone che però a lungo andare tendono a provocare atrofia cutanea, aumentano il rischio di sovrainfezioni batteriche o fungine. Pertanto l’uso prolungato oltre le 2 settimane di trattamento viene sconsigliato.
Nei casi di prurito anale refrattari alle terapie precedenti è stata proposta l’iniezione intradermica con ago sottile di blu di metilene. Tale sostanza ha la funzione di distruggere le terminazioni nervose sensitive cutanee portando ad una conseguente riduzione della sintomatologia pruriginosa e permettendo alle lesioni cutanee di poter guarire.
In letteratura l’uso di questa sostanza è validata da un percentuale di successo che varia dal 20 all’88% a fronte però di alcune complicanze non irrilevanti quali la necrosi cutanea e la perdita temporanea di muco dall’ano. Si è quindi proposta l’iniezione di una soluzione di blu di metilene all’1% 10ml diluita con soluzione salina 7,5% 5ml, bupivacaina con epinefrina (1:200000) e lidocaina 0,5% 7,5 ml. La soluzione prevede quindi l’utilizzo di blu di metilene associato a farmaci anestetici locali che vengono iniettati nella regione perianale fino alla linea dentata.
Il prurito anale è una condizione comune causata da una miriade di fattori eziologici diversi che possono a volte anche associarsi. Una volta identificata la causa e instaurata la terapia è comunque necessario indirizzare il paziente verso norme igienico-comportamentali corrette che ne prevengano la recidiva. Essendo una condizione frustrante sia per il paziente che ne soffre sia per il medico che deve trovare una soluzione al problema, diventa di primaria importanza la gestione delle aspettative dei pazienti al pari di un’adeguata terapia, poiché la risoluzione dei sintomi necessita talvolta parecchio tempo.

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