È scomparso il collega e amico Giuseppe Gagliardi, chirurgo colorettale all’Università di Chicago (USA) e editor-in-chief di Techniques in Coloproctology

Giuseppe si portava addosso una brutta malattia, con la quale conviveva, tra alti e bassi. Fortuna che il “top” nella cura del suo male era un professore dell’Università di Chicago. Dove Giuseppe lavorava ormai da qualche anno a ottimo livello. Questo gli ha allungato la vita. Ma miracoli non se ne possono fare…

Il padre era un imprenditore di Napoli e la madre una psicanalista altoatesina. Due caratteri opposti, come potete immaginare. E infatti aveva preso un po’ dall’uno e un po’ dall’altra. Era “uno scugnizzo riservato”…se posso usare questa espressione, che credo renda l’idea. Comunque, un irrequieto.

Dopo aver assaggiato da giovane gli avvelenati ambienti dell’accademia italiana (si era laureato a Napoli), ne rimase, come altri, insoddisfatto e, dopo un passaggio al St Mark’s Hospital di Londra (lavorò e pubblicò con Peter Hawley) prese il diploma, difficilissimo da conseguire, per lavorare negli Stati Uniti. Fu lì che sposò una bella ragazza, croato-argentina, identica a Valentina di Crepax. Da cui …ahilui… si separò dopo pochi anni.

In USA si mosse da un posto all’altro, sempre Istituzioni di prestigio, con capi di prestigio. Ma Giuseppe aveva addosso una buona dose di instabilità e molto spirito d’avventura. Non era mai contento, cercava sempre posti nuovi e migliori. Coi suoi capi all’inizio era in armonia, ma poi entrava in conflitto.

Irrequieto com’era, provò a rientrare in patria, e fu qui in Italia, soprattutto a Roma, che cozzò contro un sistema totalmente chiuso a quelli bravi che venivano da famosi centri stranieri. Un po’, devo essere sincero, ci metteva del suo. Non di rado (e questo lo posso dire perché ha lavorato con me per anni) ascoltava in silenzio direttive diagnostiche e terapeutiche del tale o del tal altro professore, ma aveva dipinto in faccia ciò che stava pensando: “in America è tutta un’altra cosa”.

E così trascorse periodi brevi in Università italiane, naturalmente non ricevendo quella che ogni “giovane chirurgo” desidera, ovvero la possibilità di avere dei “suoi” pazienti e poterli operare quando e quanto più lo riteneva giusto.

Passò diversi anni con me, in ambiente privato, a Roma, a Villa Flaminia, dove poteva presentarsi non come “dipendente” di Pescatori, ma come “associato” a Pescatori. Sembrava abbastanza soddisfatto. Faceva le sue colonscopie e qualche intervento. Ma soprattutto lavorava a tempo pieno alla crescita di “Techniques in Coloproctology”, che da poco aveva un decente “impact factor”. Intorno a 1.5. Arrivò a 2.4 quando la lasciai io e, perché chi legge capisca quanto era in gamba, con lui Editor-in-Chief raggiunse 3.8 in due anni! All’incirca lo stesso valore di Surgery, diretta da Wexner, che rappresenta però migliaia di chirurghi americani e Colorectal Disease, che ha dietro di sé la società dei chirurghi colorettali britannici e la società europea di colonproctologia.

Ricordo che mi impressionò per la sua capacità di scrivere un lavoro scientifico ad alto livello, quando preparò, con fotocopie, libri e pezzi di testo del nuovo articolo freneticamente sparsi sul pavimento, una “submission” sulle complicanze dopo la Starr, uno studio multicentrico SICCR con lui primo nome, che uscì poi su Dis Colon Rectum. Sembrava arroventato dal “fuoco della scienza”.

Alla fine tornò negli Stati Uniti, questa volta definitivamente. Fu chirurgo colo-rettale autonomo e con ottima casistica a Chicago. Di lì fece una puntata a Fortaleza, in Brasile, dove perfezionò le sue capacità di fare delle buone eco trans-anali sotto la guida di Sthela Regadas, una delle migliori ecografiste anorettali al mondo.
Era una persona molto colta Giuseppe. Leggeva parecchi libri, ogni tanto me ne consigliava qualcuno. Diventò esperto di filosofia orientale e praticò a lungo lo yoga. Sperimentò tutti i climi americani, dal caldo umido di New Orleans al vento gelido di Chicago. Ricordo che mesi fa, pessimista come sono…, gli mandai il mio cv e gli chiesi se alla mia morte avrebbe potuto scrivere, insieme a Steve Wexner, il mio OBITUARY su Techniques. Mi rispose: “Guarda Mario che è più probabile che sia tu a scrivere il mio…”. Pensai: “Ma va…”. Invece aveva ragione lui, purtroppo.

A te Giuseppe amico mio, va un commosso ricordo. Grazie per quello che hai fatto per la nostra Società.

Mario Pescatori

27/07/2022
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